BEATI I POVERI IN SPIRITO. La povertà via per l’autenticità

Suor Ebe | 18.02.2020

Continuiamo il nostro cammino sulla scia delle Beatitudini. La prima Beatitudine che Gesù proclama, guardando la folla che è davanti a lui, è la povertà. Questa è la porta d’ingresso delle Beatitudini, non a caso. «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il Regno dei Cieli» (Mt 5,3).

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Mi colpisce che Gesù parla al presente. Quindi, sta parlando di una povertà che è già presente nella nostra vita, non di cose astratte o del diventare poveri come pensiamo noi tante volte. Mentre rifletto su questo mi si ripresenta l’esperienza di una situazione, che mi ha aiutato a prendere consapevolezza del mio rapporto con la povertà mia e degli altri. C’è stato un periodo in cui una persona, che stava attraversando un tempo difficile, mi chiamava spesso, anche piangendo, e mi chiedeva aiuto. La prima reazione è stata quella di rispondere con prontezza e starle vicino. Dopo qualche giorno in cui questo si ripeteva, ed in cui ho notato che si appoggiava a me per diverse cose, ho sentito dentro di me un senso di asfissia, come se mi mancasse l’aria. Stare con questo mio vissuto mi ha aiutato a vedere come la povertà di questa persona, vissuta in modo autentico nel suo chiedere aiuto quando non ce la faceva a stare in piedi da sola, è andata a scardinare la mia autosufficienza (male di cui accennavo nello scorso articolo). Mi sono resa conto che invece io, quando stavo male, “dovevo” sempre cercare una soluzione, io da sola, e farcela; nella mia storia c’è un perché a questo, come per ciascuno, ed è pienamente legittimo; ma arriva un tempo in cui possiamo decidere di fare diversamente. Questa esperienza per me è stata molto preziosa! Lì ho capito che il povero fa una cosa che noi difficilmente facciamo, quando si tratta di questioni personali: CHIEDERE! Quando entriamo in contatto con la nostra povertà, che può essere il nostro bisogno di essere visti per come siamo, di essere confermati, un senso di solitudine, una ferita ricevuta da qualcuno… ci possiamo muovere in due direzioni. Cominciamo ad accumulare, cose da fare, relazioni in gran quantità (più facilmente virtuali), cibo, soldi, oggetti e tutto ciò che ci faccia sentire la gratificazione piuttosto che il disturbo di quella situazione interiore, ma alla fine rimaniamo soli con noi stessi, chiusi nella nostra finta autosufficienza. Oppure possiamo scegliere di vivere in modo autentico la nostra povertà, non facendo finta che non ci sia, ma riconoscendola e accogliendola, chiedendo aiuto e aprendoci alla relazione. Il povero chiede. Si apre all’altro. E questa è la ricchezza più grande che la povertà dischiuda: questo è il Regno dei Cieli che riceviamo in eredità già da ora, la ricchezza eterna che non passa! Se avrai il coraggio di vivere questo, scoprirai che c’è Qualcuno che si prende cura di te, meglio di come potresti fare tu stesso con le tue soluzioni. Allora, anche l’aiuto che offrirai all’altro sarà più autentico, sapendo che quello che hai l’hai ricevuto; e la richiesta di aiuto dell’altro diventerà occasione di memoria e gratitudine nei confronti di Dio che si prende cura di te e di tutti coloro che quotidianamente te lo fanno sperimentare. E la vita ricomincia a fiorire.